Die vorliegende Studie untersucht, vorzugsweise anhand von Pressequellen und der Reiseliteratur der Zeit, die zwischen Gemeinplätzen und Entschuldigungen schwankende Bewegung der italienischen Intelligenzia, die ihre eigenen Unsicherheiten zwischen den beiden Weltkriegen in ihrem Verhältnis zur Metropole Berlin und dem, was die Stadt repräsentiert, widerspiegelt. Die Rekonstruktion der deutsch-italienischen interkulturellen Beziehungen, wie sie sich gegen Ende des 19. Jahrhunderts darstellten, ist von den Gleichgewichten geprägt, die die neue Zeit auferlegte und die endgültig eine Verlagerung der Hegemonie von Italien nach Deutschland markierten.
Die immer zahlreicheren und häufigeren Reiseberichte von Italienern in Deutschland bildeten eine Bezugsbasis für den Versuch, das neue Gesicht Berlins zu beschreiben, das eine präzise intellektuelle und historische Physiognomie erhielt und damit gleichzeitig das Bel Paese in eine europäische Kulturprovinz verwandelte. Indem wir den Weg einiger italienischer Intellektueller verfolgen, die sich aus verschiedenen Gründen in Berlin aufhielten, werden wir Zeuge einer Art Umkehrung des Weges, den die deutschen Intellektuellen in den vergangenen Jahrhunderten gegangen sind: Deutschland wurde von einer Heterotopie zur zentralen Bühne Europas, auf der auch die italienische narzisstische Repräsentation des eigenen Landes inszeniert wurde.
Das sich aus den Schriften des Trupps der Italiener in Berlin, die alle ideologisch ausgerichtet waren, ergebende Bild scheint jedoch keinen Wandel zu bestätigen, der den Übergang von einer Ethik des Mitleids zu einer Ethik der Solidarität hätte ermöglichen können, in der die Verantwortung für die Realität der anderen nicht unbedingt übernommen, aber diese zumindest als eine originäre und unterschiedliche Dimension mit gleicher Würde anerkannt wird. Die Wahrnehmung der Berliner Realität wurde zu einer Metapher des Begehrens, nicht nur des politischen.
Andererseits hatte auch das historische Vorurteil jener Generation, die mit Pirandello zusammenlebte, das andere jenseits der persönlichen Dramen in den definierten Grenzen der neoklassischen und exotisch-dämonischen Tradition eingefroren. Dieses Einfrieren, das die Berliner Realität und all ihre Figuren in Vorurteilen inmitten virulenter antisemitischer Anspielungen und phantasievoller Verschwörungstheorien gefangen hielt, war die andere Seite der Reduzierung des deutschen Erfahrungsflusses, der Verengung des italienischen Horizonts auf hartnäckige Stereotypen.
Die erzählerische Ausarbeitung legt eine Art funktionale Äquivalenz mit dem Freud‘schen Traum nahe, in dem sich die von der Autorität des Ichs und des Über-Ichs verdrängten Wünsche verwirklichen, so dass der Berliner Limbus schließlich ein zeitlicher Limbus in einem kultivierten Raum, eine Art freie Zone war, zumindest bis zum Ende des zweiten Jahrzehnts. Das Gefühl der Ohnmacht und der Verschlossenheit zum Beispiel, das Pirandello ebenso wie auch die verschiedenen Nino Frank über die Alpen trieb, überlagerte das Bewusstsein der Schrumpfung ihrer Welt mit der Verringerung ihrer Erfahrung, so dass die Rhythmen, die jene Tage prägten, nicht die Kraft hatten, den Sinn für Raum, Erinnerung und Andersartigkeit neu zu gestalten.
Am Beispiel Pirandello könnte man aufzeigen, dass die Bedingungen des Exotismus umgekehrt wurden, indem man darstellte, wie die Interaktion das Leben vieler von ihnen bestimmt und wesentlich verändert hat. In dieser farbenfrohen “kleinen Kolonie” scheint sich ein beunruhigender roter Faden durch die schwierige Annäherung an die Berliner Tage zu ziehen, der auch aus politischer und ziviler Verantwortung oder Unverantwortlichkeit bei der Vermittlung oder Nichtvermittlung einer notwendigen und pflichtgemäßen Synthese in Bezug auf die damalige Zeit besteht. Die Auswirkungen, die dieser “Trupp” hatte, in dem mehrere Generationen vertreten waren, sollten sich in den Jahren vor und nach 1945 als dramatisch wichtig erweisen.
Corrado Alvaro schrieb nicht zufällig, dass es „keine Freiheit gibt, wenn es keine innere Freiheit des Individuums gibt. Eines der Merkmale der heutigen Zivilisation besteht gerade im Mangel an Urteilsfreiheit“. Antonio Giuseppe Borgese wiederum schrieb anlässlich der Verleihung des Nobelpreises an Pirandello: „Das Leben ist nur ein Trick, eine Farce der Götter (die wiederum gar nicht existieren)“. Der Prozess, der die Orte der westlichen Zivilisation aus dem Mittelmeerraum in den Norden Europas verlagert hatte, neigte sich in jenen Jahren seinem ersten Abschluss zu, ohne dass sich die einzelnen Dramen abschwächten. Wie im Fall von Pier Maria Rosso di San Secondo handelte es sich um „ein Drama, das im Antagonismus zwischen Vernunft und Leidenschaft, Geist und Körper, Seele und Materie wurzelt“. Der Norden und der Süden waren nichts weiter als Isotopien, die der Geographie entlehnt waren, um ein Unbehagen metaphysischen Ursprungs zu bezeichnen, das von der Doppelgesichtigkeit jedes Einzelnen bestimmt wurde, nicht zuletzt der ihres Landsmanns Pirandello.
Lo studio si è prefisso di indagare, attingendo di preferenza a fonti di stampa e alla letteratura odeporica del tempo, il movimento ondivago che visse l’intellighènzia italiana, tra i luoghi comuni ed apologie, che riflesse le loro stesse incertezze tra le due Grandi Guerre nel rapporto con la metropoli berlinese e con quello che rappresentava. La ricostruzione dei rapporti interculturali italo-tedeschi, così come si presentano verso la fine del XIX secolo, è caratterizzata da equilibri che il nuovo tempo impose e che segnò, definitivamente, uno spostamento dell’egemonia dall’Italia alla Germania.
I sempre più numerosi e frequenti resoconti di viaggio di italiani in Germania hanno costituito una base di riferimento nel cercare di delineare il nuovo volto di Berlino, che acquista una precisa fisionomia intellettuale e storica, trasformando, a sua volta, in provincia culturale europea il Bel Paese. Seguendo le vicende di una parte degli intellettuali italiani che soggiornarono a vario titolo a Berlino si assiste al compiersi di una sorta di inversione del percorso degli intellettuali tedeschi dei secoli precedenti: la Germania passa da eterotopia a palcoscenico centrale d’Europa, dove va in scena anche la rappresentazione italiana, narcisistica, di essa.
L’immagine che emerge dagli scritti della pattuglia di italiani a Berlino, tutti ideologicamente schierati, non sembra tuttavia confermare una trasformazione che avrebbe potuto permettere il passaggio da un’etica della compassione ad un’etica della solidarietà, nella quale non si presuppone necessariamente una responsabilità per la realtà altrui, ma quantomeno un suo riconoscimento come dimensione originale e distinta, con pari dignità. La percezione della realtà berlinese assunse la funzione di una metafora del desiderio, non solo politica.
D’altronde, anche il pregiudizio storico di tutta quella generazione coeva a Pirandello, aveva congelato l’altro, al di là dei drammi personali, entro i confini definiti della tradizione neoclassica ed esotica-demoniaca. Questo congelamento, che imprigionò nel pregiudizio la realtà berlinese e tutti i suoi personaggi attanti, tra virulente suggestioni antisemitiche e fantasiose teorie complottistiche, è l’altra faccia della riduzione del fluire dell’esperienza tedesca, del restringimento dell’orizzonte italiano entro stereotipi persistenti.
L’elaborazione narrativa suggerisce una sorta d’equivalenza funzionale con il sogno freudiano, nel quale si realizzano desideri repressi dall’autorità dell’ego e del super-ego, per cui il limbo berlinese finì con l’essere, in uno spazio colto, un limbo temporale, una sorta di zona franca, almeno fino alla fine della seconda decade. La sensazione di impotenza e di chiusura, ad esempio, che spinse Pirandello oltralpe, e così i vari Nino Frank, sovrappose la consapevolezza della contrazione del loro mondo con la riduzione dell’esperienza che ne avevano, facendo sì che i ritmi che scandirono quei giorni non avessero la forza per ridisegnare il senso dello spazio, della memoria e dell’alterità.
Sull’esempio di Pirandello, si potrebbe affermare che si rovesciarono i termini dell’esotismo, constatando quanto l’interazione avesse determinato e segnato cambiamenti sostanziali nelle vite di molti di loro. Sembra esistere in quella variopinta “piccola colonia” un inquietante filo rosso che attraversa il suo difficile approccio ai giorni berlinesi, e che è fatto anche di responsabilità o irresponsabilità, politica e civile, nel mediare o non mediare una necessaria e doverosa sintesi rispetto al tempo coevo. Gli effetti che quella “pattuglia” – al cui interno erano rappresentate più generazioni – produsse si sarebbero rivelati drammaticamente importanti per gli anni del prima e dopo 1945. Corrado Alvaro non a caso scrisse che „nessuna libertà esiste quando non esiste una libertà interiore dell’individuo. Uno dei caratteri della civiltà d’oggi consiste proprio nella mancanza di libertà di giudizio.” Giuseppe Antonio Borgese, a sua volta, commentando il conferimento del premio Nobel a Pirandello, ebbe a dire che „La vita è solo un trucco, una farsa degli dei (che, a loro volta, non esistono per niente)”.
Il processo che aveva delocalizzato i luoghi della civiltà occidentale dall’area mediterranea al Settentrione d’Europa si avviò, proprio in quegli anni, a una sua prima conclusione, senza apportare lenimento ai propri drammi individuali. Come nel caso di Pier Maria Rosso di San Secondo, si trattò „di un dramma che affonda[va] le sue radici nell’antagonismo che oppone[va] ragione e passione, spirito e corpo, anima e materia”. Nord e Sud altro non furono che isotopie prese in prestito dalla geografia per significare un malessere d’origine metafisico, determinato dall’essere bifronte di ciascun individuo: non ultimo il suo conterraneo Pirandello.
This study aimed to investigate, while drawing from press sources and the odeporic literature of the time, the fluctuating movement between commonplaces and apologies experienced by the Italian intelligentsia. This movement reflected their uncertainties, during the period between the two Great Wars, in their relationship with the Berlin metropolis and what it represented. The reconstruction of the Italian -German intercultural relations, as they appeared towards the end of the 19th century, is characterized by balances that the new events imposed and that permanently marked a shift of hegemony from Italy to Germany.
The increasing number of travel reports of Italians in Germany formed a reference base in trying to delineate the new face of Berlin, which acquired a precise intellectual and historical physiognomy and, in turn, transformed the Bel Paese into a European cultural province. By following the vicissitudes of some of the Italian intellectuals who stayed in Berlin for various reasons, we witness a sort of inversion of the path taken by German intellectuals in previous centuries: Germany changed from being a heterotopia to taking the center stage in Europe, where Italy displayed a narcissistic representation of itself.
However, the image that emerges from the writings of the patrol of Italians in Berlin, all ideologically aligned, does not seem to confirm a transformation that could have allowed the passage from an ethic of compassion to an ethic of solidarity. An ethic that does not necessarily assume any responsibility for other people’s reality, but that at least recognizes it as an original and distinct dimension, with equal dignity. The perception of Berlin's reality became a metaphor for desire, and not only in a political sense.
On the other hand, even the historical prejudice of the generation contemporary with Pirandello had crystallized “the other”, beyond personal dramas, within the defined boundaries of the neoclassical and exotic-demonic tradition. The crystallization that imprisoned Berlin's reality and all its characters in prejudices, amidst virulent anti-Semitic suggestions and fanciful conspiracy theories, is the other side of the reduction of the flow of the German experience, and of the narrowing of the Italian horizon within persistent stereotypes.
The narrative elaboration suggests a sort of functional equivalence with the Freudian dream, in which desires repressed by the authority of the ego and super-ego are realized. In this way, the Berlin limbo ended up being, in a cultured space, a temporal limbo, a sort of free zone, at least until the end of the second decade. The feeling of impotence and closure, for example, that drove Pirandello, Nino Frank and others across the Alps, superimposed the awareness of the confinement of their world with the reduction of their experience of it, so that the rhythms that marked those days did not have the strength to redesign the sense of space, memory, and otherness.
Following Pirandello's example, it could be argued that the terms of exoticism were reversed, noting how interaction had determined and marked substantial changes in the lives of many of them. There seems to be, in that colourful 'little colony', a disturbing red thread running through its difficult approach to the Berlin days. At the same time, it is also made up of responsibility or irresponsibility, political and civil, in mediating or not mediating a necessary and dutiful synthesis concerning the contemporary time. The effects that this “patrol”, up of different generations, produced would prove to be dramatically important in the years before and after 1945.
Not surprisingly, Corrado Alvaro wrote, „no freedom exists when there is no inner freedom of the individual. One of the characteristics of today's civilisation consists precisely in the lack of freedom of judgment.” Giuseppe Antonio Borgese, in turn, commenting on the awarding of the Nobel Prize to Pirandello, said, „Life is just a trick, a farce of the gods (who, in turn, do not exist at all)”. The process that had relocated the places of Western civilisation from the Mediterranean area to the north of Europe was drawing its first conclusion in those years, without alleviating its individual dramas. As in the case of Pier Maria Rosso di San Secondo, it was „a drama rooted in the antagonism that opposes reason and passion, spirit and body, soul and matter”. North and South were nothing more than isotopies borrowed from geography to signify a malaise of metaphysical origin, determined by the two-faced nature of each individual: not least his fellow citizen Pirandello.